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ALTALEX NEWS


mercoledì 2 maggio 2012

PIETRO BERTI: MP - Cie Mattei, la gestione passa di mano. Dimezz...

PIETRO BERTI: MP - Cie Mattei, la gestione passa di mano. Dimezz...: MP - Cie Mattei, la gestione passa di mano. Dimezzato il costo pro capite

Le liberalizzazioni, da handicap ad opportunità. L'avvocatura raccoglie la sfida

Le liberalizzazioni, da handicap ad opportunità. L'avvocatura raccoglie la sfida
Articolo di Giuseppe M. Valenti 23.04.2012
A valle del congresso straordinario di Milano, dopo la conversione del decreto 1/12, il collegato lavoro e l'avvio definitivo della mediazione, realismo e buon senso dicono che è opportuno mettere un punto e voltare pagina, cominciando a costruire un nuovo orizzonte col materiale che, sia pure in forma eruttiva, ci è piovuto addosso ed è ormai cristallizzato. Quindi, pur col rimpianto che con una diversa linea politica da parte dell'avvocatura e delle professioni si poteva probabilmente ottenere un risultato meno erratico, non è utile soffermarsi sulle occasioni mancate più di quanto non sarebbe inveire in gramaglie contro il destino (o il governo) cinico e baro.
Invece appare opportuno mettersi subito al lavoro per utilizzare questa novellazione come opportunità, con la consapevolezza che in una certa misura suoi difetti e limiti possono essere contenuti e finanche ribaltati a favore degli avvocati, se questi ultimi saranno capaci di rapportarsi ad essi non più con un emotivo rifiuto, ma col pragmatismo applicativo del giurisperito e la capacità prospettica del giureconsulto.
Per questo sono stati innanzi tutto presentati alcuni schemi contrattuali (contratto di assistenza legale, in conseguenza all'abolizione delle tariffe; statuto di società professionale con limitazione statutaria di partecipazione riservata ai soli soci professionisti; contratto di lavoro professionale). Si è poi ipotizzata la costituzione a cura degli ordini di un fondo rotativo per l'anticipazione, dietro cessione del relativo credito, dei compensi maturati per le difese d'ufficio e il gratuito patrocinio, valendosi anche del ricorso ai confidi, ora esplicitamente previsto.
Tutto questo va visto nell'insieme di favorire un'aggregazione dal basso che consenta la ricostruzione di un'avvocatura tendenzialmente e prevalentemente ceto medio, anziché sagittalmente divisa in pochi baroni e molti contadini. In mancanza di correttivi, infatti, tra dieci anni ci sarà una quantità statisticamente significativa solo di professionisti sopra i 150/200.000 euro di reddito o sotto i 30/35.000. Il problema è che i primi saranno il 10/15 % e gli altri l'85/90%. Chi riesce a entrare nel primo gruppo è salvo, ma chi ha 30/40 anni e fa oggi 40.000 euro all'anno, se pretende di fare l'artigiano individuale, che prospettiva ha, salvo quella di qualche estrema specializzazione di nicchia? E quante nicchie possono essere occupate? Per i più non c'è alcuna speranza.
E tuttavia da questa pessima prospettiva nessuno può sentirsi escluso, perché questa divaricazione incide sulla stabilità previdenziale, ove tale stato ha già determinato la richiesta di passaggio al sistema contributivo, il quale può assicurare solo il 50% del reddito del professionista in attività. in altre parole, per assicurarsi una sopravvivenza decente da pensionato bisogna puntare a portare la media dei redditi a 75/80.000 euro all'anno, o in alternativa ad aumentare sensibilmente le aliquote di contribuzione, già oggi sopportate a fatica da molti, e che farebbe ulteriormente assottigliare redditi già magri.
Non potendo essere accettabile quest'ultima strada, occorre analizzare le ragioni della divaricazione e trarne gli elementi per invertire la tendenza. I principali motivi risiedono in un eccesso di concorrenza e nella polverizzazione dimensionale degli studi. Il primo non è assoluto, ma si riscontra soprattutto in alcuni rami del contenzioso di massa, quasi tutti afferenti al processo civile, cronicamente collassato. Il secondo è dovuto alla mancanza, sino ad oggi, di un modello organizzativo di esercizio collettivo e multidisciplinare della professione, che ha confinato sempre più l'avvocato nel ghetto del processo statale, sino a farcelo identificare.
Ma l'avvocato questo processo può solo promuoverlo, non governarlo: una volta incardinato, il suo governo appartiene, e vieppiù dopo le novellazioni della procedura civile, al giudice e all'amministrazione giudiziaria. Una camicia di nesso, se si considera la prassi generalizzata dell'incasso del compenso, salvo qualche anticipo per le spese, a babbo morto, cioè alla fine di un giudizio che mediamente dura sette anni. Così l'avvocato con lo studio mononucleare è costretto a inseguire il processo e le sue disfunzioni, magari aumentando i processi per poter sostenere l'incertezza e la dilatazione temporale dei compensi a fronte di costi certi e crescenti.
Per anni l'avvocatura ha chiesto alla politica interventi sul processo e sull'amministrazione della giustizia, ma già dal 2007 si è avuta la consapevolezza della inadeguatezza delle risorse statali rispetto alla domanda di giustizia, fenomeno che peraltro investe l'intera europa, e deve ricercarsi nell'accelerazione degli scambi la cui patologia genera il contenzioso. L'impossibilità di continuare a socializzare i costi del processo implica da un lato una tendenza al trasferimento sull'utenza di quote sempre maggiori degli oneri processuali, dall'altro la ricerca di alternative stragiudiziali e/o paragiudiziali alla giurisdizione statale, come le authorities o gli adr, il cui accesso non è riservato per il tramite dell'avvocato. Questa circostanza è spesso percepita dalla comunità forense (che per i motivi indicati identifica il suo ruolo sociale solo o prevalentemente nel processo, e non nella generale tutela degli interessi del cives) come un arretramento dello stato e una sottrazione di funzioni e occasioni professionali.
Di qui l'incomunicabilità con la politica e la società, che vedono invece in quest'atteggiamento un arroccamento a tutela di pretese rendite di posizione, rappresentate dalla riserva legale della difesa processuale.
Già nella conferenza nazionale di Napoli del 2005 l'avvocatura aveva preso coscienza di questo stato, teorizzando - prima tra tutte - la unitarietà dei principi dell'agire professionale come riferibili a tutte le professioni costituite in ordini, da considerarsi complessivamente parte sociale distinta ed autonoma dall'impresa, presupposto logico e ontologico per il riconoscimento della possibilità del lavoro d'equipe e multidisciplinare.
Ciò aveva consentito l'affermazione della possibilità ed opportunità di esercizio collettivo della professione, dall'associazione temporanea per specifici incarichi alle varie forme societarie, purché solo tra professionisti iscritti in albi. E nello stesso tempo l’avvocatura aveva immaginato che ciò avrebbe certo comportato la nascita di studi multilivello, con la necessità di dettare principi e garanzie per collaboratori non soci e praticanti. Inoltre nel 2008 era stata anche elaborata una teoria, che, prendendo le mosse dalla conclamata e irreversibile crisi della giurisdizione statale, immaginava, con l'applicazione del principio di sussidiarietà, l'assunzione da parte delle formazioni sociali intermedie della gestione del servizio giustizia, tanto nella sua forma autoritativa dell'ordine dato, che in quella convenzionale dell'ordine negoziato.
Molti di tali spunti, sia pur realizzati parzialmente e malamente, si possono rinvenire e recuperare nella decretazione degli ultimi tempi. e se, come abbiamo detto, l'avvocatura, pur avendo saputo anticipare tempi e soluzioni del legislatore, non ha poi saputo negoziare con quest'ultimo le soluzioni applicative migliori, può però usare oggi la propria sapienza giuridica per avvicinarle ai propri principi e riproporsi come avanguardia delle professioni intellettuali, soggetto politico significativo ed essenziale della classe dirigente.
Ma questo passa per l'acquisita autocoscienza di un ruolo di collettività sociale custode di una conoscenza pratica non sussumibile al di fuori di essa, attinente alla funzione di problem solving e pacificatore sociale prima e in luogo del giudice. Su questo assunto si fonda la richiesta di modifica della disciplina sulla mediazione nel senso di parificare al verbale di conciliazione l'accordo raggiunto direttamente dalle parti assistite dai rispettivi avvocati, la temporaneità del regime di obbligatorietà e la necessità dell'assistenza legale in tali procedure.
Ma naturalmente uno scenario di questo genere non guarda solo all'esterno, ma anche all'interno: una categoria cosi numerosa e diversificata deve avere verso la società una rappresentanza democratica e proporzionale di tutte le sue componenti secondo i principi dell'art. 39 cost. (e, quale corpo sociale intermedio, conforme alla teoria degli ordinamenti di santi romano), il che implica la centralità del congresso nazionale forense quale assemblea generale dell’avvocatura, ma deve altresì accettare e rispettare il principio del giusto procedimento disciplinare, che presuppone la terzietà del giudicante. Una terzietà che deve anche apparire, oltre che essere tale.
E’ quindi opportuno e necessario che gli organi disciplinari siano distinti e incompatibili coi consigli dell'ordine territoriali, ma allo stesso modo va preservata la giurisdizione domestica in capo al cnf, perché essa è per l'avvocato una garanzia indispensabile di indipendenza: dovendo scegliere, meglio spogliare il cnf delle incombenze amministrative pur di conservargli la sua alta natura di giudice speciale, custode della deontologia.
Non si può rivoluzionare per decreto un sistema, per quanto obsoleto e poco efficiente, senza valutare l'impatto socioeconomico della riforma né adottare strumenti e percorsi di accompagnamento e ammortizzazione.
Prevedere società di capitali, per di più anche con soci non professionisti, in un contesto di professionisti senza capitale o comunque liquidità, senza quindi preoccuparsi di favorire la loro aggregazione con idonei strumenti di accompagnamento equivarrebbe a creare i presupposti per un latifondo e un bracciantato intellettuale, esattamente come fece nel 1865 ai contadini del sud la legge sulla liquidazione dei beni ecclesiastici.
Ma se i professori decretanti non ci hanno pensato, noi come collettività custode non solo della sapienza giudica astratta, ma anche della sua concreta applicazione come verifica d'impatto nella società e analisi economica del diritto, possiamo realizzare delle soluzioni convenzionali tipo e adottarle, occupando lo spazio giuridico e di mercato generato dalle liberalizzazioni prima che altri si organizzino cogliendoci inadeguati e impreparati.
Al contrario possiamo e dobbiamo puntare ad espanderci oltre il processo statale. Sfruttando l'opportunità della elevata domanda di consulenza e assistenza qualificata e la necessità di servizi giuridici sul territorio alternativi, sussidiari e complementari ad esso. Tutto ciò comporta inevitabilmente una quota di oneri di riqualificazione che si dovrà socializzare, come pure la promozione attraverso supporti e agevolazioni delle forme di aggregazione e la risoluzione di alcuni nodi, come quello dello status previdenziale delle società professionali.
Ed è su questi nodi che bisogna focalizzare le richieste, e non su una generica protesta in nome di un modello ottocentesco che non potremo mai più riavere in ragione del radicale mutamento di contesto, generato dal tramonto dello stato nazionale giurisdizionale come aggregazione sociale sovrana o comunque apicale, essendo ormai nell’era della transizione verso il modello emergente di impero geoeconomico, cui l'Unione Europea tende, sia pure confusamente e inconsapevolmente, a conformarsi.
(Altalex, 23 aprile 2012. Articolo di Giuseppe M. Valenti. Resoconto della tavola rotonda Post fata resurgo. Le liberalizzazioni: da Handicap ad opportunità. L’Avvocatura raccoglie la sfida organizzata in Rovereto il 13 aprile 2012 dall'associazione Futuro Merita)

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Conferimento di incarico professionale con compenso forfetario e palmario (Bozza di convenzione 23.04.2012)

Conferimento di incarico professionale con rinvio alle tariffe (Bozza di convenzione 23.04.2012)

Costituzione di società (Bozza di statuto 23.04.2012)

Le liberalizzazioni: da handicap ad opportunità. L'avvocatura raccoglie la sfida (Convegno in Rovereto 13.04.2012)

Lavoro professionale forense (full-time) (Bozza di contratto 13.04.2012)

Flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali per l'anno 2012

Flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali per l'anno 2012
D.P.C.M. 13.03.2012, G.U. 19.04.2012
Sono ammessi in Italia, in via di programmazione transitoria per motivi di lavoro subordinato stagionale, i cittadini non comunitari residenti all'estero entro una quota di 35.000 unità.
E' quanto previsto dal Decreto 13 marzo 2012, firmato dal Presidente del Consiglio dei Ministri (e pubblicato in Gazzetta Ufficiale 19 aprile 2012, n. 92) al fine di rendere disponibili i lavoratori indispensabili per le particolari esigenze del settore turistico e per la raccolta dei prodotti agricoli.
Il particolare la quota riguarda:
  • lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Croazia, Egitto, Repubblica delle Filippine, Gambia, Ghana, India, Kosovo, Repubblica ex Jugoslava di Macedonia, Marocco, Moldavia, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Ucraina, Tunisia;
  • i lavoratori non comunitari, cittadini dei Paesi sopra indicati, che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale per almeno due anni consecutivi e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale.
(Altalex, 24 aprile 2012. Vedi anche l'eBook Testo unico commentato dell'immigrazione a cura di Rocchina Staiano)


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DECRETO DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI 13 marzo 2012
Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori non comunitari stagionali e di altre categorie nel territorio dello Stato per l'anno 2012. (12A04562)
(GU n. 92 del 19-4-2012)
IL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI
Visto il decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni ed integrazioni, recante il Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero;
Visto, in particolare, l'articolo 3 del Testo unico sull'immigrazione, il quale dispone che la determinazione annuale delle quote massime di stranieri da ammettere nel territorio dello Stato avviene con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sulla base dei criteri generali per la definizione dei flussi d'ingresso individuati nel Documento programmatico triennale, relativo alla politica dell'immigrazione e degli stranieri nel territorio dello Stato, e che "in caso di mancata pubblicazione del decreto di programmazione annuale, il Presidente del Consiglio dei Ministri puo' provvedere in via transitoria, con proprio decreto, entro il 30 novembre, nel limite delle quote stabilite nell'ultimo decreto emanato";
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, e successive modificazioni ed integrazioni, Regolamento recante norme di attuazione del Testo unico sull'immigrazione;
Considerato che il Documento programmatico triennale non e' stato emanato;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 febbraio 2011, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie generale, n. 65 del 21 marzo 2011, concernente la Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari stagionali nel territorio dello Stato per l'anno 2011, che prevede una quota complessiva di 60.000 unita';
Rilevato che e' necessario prevedere una quota di lavoratori non comunitari stagionali da ammettere in Italia per l'anno 2012, al fine di rendere disponibili i lavoratori indispensabili, in particolare, per le esigenze del settore agricolo e del settore turistico-alberghiero e che, allo scopo, puo' provvedersi - in via di programmazione transitoria e come anticipazione dei flussi d'ingresso in Italia dei lavoratori non comunitari per l'anno 2012 - con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, nel limite della quota stabilita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 febbraio 2011, in quanto ultimo decreto emanato per la tipologia dei lavoratori non comunitari stagionali;
Rilevato inoltre che - avuto riguardo ai dati relativi all'andamento degli ingressi in Italia nell'anno 2011 di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro stagionale, che evidenziano un notevole divario tra la quota complessivamente autorizzata con il citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 febbraio 2011 e la sua effettiva utilizzazione - e' opportuno prevedere la quota di cui al precedente capoverso in misura ridotta rispetto alla corrispondente quota complessiva di 60.000 unita' autorizzata per l'anno 2011;
Considerato che, allo scopo di semplificare ed ottimizzare procedure e tempi per l'impiego da parte dei datori di lavoro dei lavoratori non comunitari stagionali, e' opportuno incentivare le richieste di nulla osta al lavoro pluriennali, secondo quanto previsto dalle disposizioni del Testo unico sull'immigrazione e del relativo Regolamento di attuazione, sopra richiamati;
Visto il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 novembre 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie generale, n. 305 del 31 dicembre 2010, concernente la Programmazione transitoria dei flussi d'ingresso dei lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato per l'anno 2010, che prevede una quota massima d'ingresso per motivi di lavoro non stagionale di 98.080 unita', che si aggiunge alla quota di 6.000 lavoratori extracomunitari non stagionali gia' prevista, in via di anticipazione, con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1°aprile 2010, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, Serie generale, n. 91 del 20 aprile 2010;
Ravvisata la necessita' di prevedere, come anticipazione dei flussi di ingresso in Italia di lavoratori non comunitari per motivi di lavoro non stagionale per l'anno 2012, una quota di ingresso di lavoratori non comunitari non stagionali residenti all'estero, che hanno partecipato a corsi di formazione professionale e di istruzione nei paesi di origine, ai sensi dell'articolo 23 del citato Testo unico sull'immigrazione, al fine di assicurare continuita' ai rapporti di cooperazione con i paesi terzi, e che, allo scopo, puo' provvedersi in via di programmazione transitoria nel limite della quota complessiva autorizzata con i decreti del Presidente del Consiglio dei ministri 1°aprile 2010 e 30 novembre 2010, sopra richiamati;
Decreta:

Art. 1
1. A titolo di anticipazione della programmazione dei flussi d'ingresso dei lavoratori non comunitari stagionali per l'anno 2012, sono ammessi in Italia, in via di programmazione transitoria per motivi di lavoro subordinato stagionale, i cittadini non comunitari residenti all'estero entro una quota di 35.000 unita', da ripartire tra le regioni e le province autonome a cura del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
2. La quota di cui al comma 1 riguarda i lavoratori subordinati stagionali non comunitari di Albania, Algeria, Bangladesh, Bosnia-Herzegovina, Croazia, Egitto, Repubblica delle Filippine, Gambia, Ghana, India, Kosovo, Repubblica ex Jugoslava di Macedonia, Marocco, Moldavia, Montenegro, Niger, Nigeria, Pakistan, Senegal, Serbia, Sri Lanka, Ucraina, Tunisia.
3. Nella quota di cui al comma 1 sono compresi anche i lavoratori non comunitari, cittadini dei Paesi indicati al comma 2, che abbiano fatto ingresso in Italia per prestare lavoro subordinato stagionale per almeno due anni consecutivi e per i quali il datore di lavoro presenti richiesta di nulla osta pluriennale per lavoro subordinato stagionale.
Art. 2
Come anticipazione della quota massima di ingresso dei lavoratori non comunitari per motivi di lavoro non stagionale per l'anno 2012, sono ammessi in Italia 4.000 cittadini stranieri non comunitari residenti all'estero che abbiano completato programmi di formazione ed istruzione nel paese d'origine ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

Roma, 13 marzo 2012.

Il Presidente: Monti
Registrato alla Corte dei conti il 16 aprile 2012.
Presidenza del Consiglio dei Ministri, registro n. 3, foglio n. 218

Errata segnalazione come cattivo pagatore: la banca risponde a titolo di colpa

Errata segnalazione come cattivo pagatore: la banca risponde a titolo di colpa
Cassazione civile , sez. VI, ordinanza 22.11.2011 n° 24650 (Paolo Fortina)
Tizio accende un mutuo presso un istituto di credito, e puntualmente paga i relativi ratei. Ciò non di meno la Banca segnala Tizio come cattivo pagatore alla EURISC, la banca dati di natura privata utilizzata dagli istituti di credito per scambiarsi informazioni in merito alla storia economica dei propri clienti, segnalando in particolare quei soggetti a rischio di insolvenza. La Banca in questione, nonostante il puntuale pagamento, invia la segnalazione circostanziata del fatto che Tizio non avrebbe pagato tre ratei del mutuo acceso presso di lei, alterando in tal modo la reputazione commerciale del proprio cliente, con tutte le conseguenze derivanti (ed in particolare la concreta impossibilità di ottenere nuove linee di credito presso altri istituti bancari, oltre che la potenziale chiusura delle linee di credito già aperte).
Scoperto il fatto, Tizio chiede l'immediata rettifica della segnalazione – che viene fatta dalla Banca – e chiede altresì congruo risarcimento del danno derivante dalla lesione della sua reputazione commerciale. Non trovando l'accordo transattivo, Tizio cita in giudizio la Banca presso il Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata. Detto Tribunale, con la sentenza 16 novembre 2009, n. 393 rigetta la domanda risarcitoria evidenziando come non fosse provato il dolo della Banca nel compimento dell'atto di danneggiamento.
Il Tribunale di Agrigento sembrerebbe, dunque, ragionare con categorie penalistiche in ambito civilistico: è infatti pur vero che il reato di danneggiamento (di cui all'art. 635 del codice penale) è previsto esclusivamente nella forma dolosa, escludendo la possibilità di una sanzione penale in caso di danneggiamento colposo. Sul piano civilistico, invece, la colpa assurge a parametro principe di imputazione di responsabilità e della conseguenze assunzione del costo (anche sociale) del relativo danno procurato: non è dunque compito del giudice spingersi fino a richiedere una prova di dolo (francamente diabolica) nel comportamento dell'istituto bancario che segnala un situazione differente rispetto al dato reale. Ed anzi, poiché nel caso di specie rileva senz'altro art. 2043 del codice civile – che sanziona comportamenti colposi extracontrattuali – ma rileva altresì il rapporto contrattuale instaurato ai fini dell'accessione del mutuo, ben potrebbe essere argomentato che il comportamento dell'istituto di credito possa rientrare in un obbligo accessorio al contratto di finanziamento, con il conseguente inquadramento della fattispecie all'interno di categorie di natura contrattuale (cui segue la disciplina probatoria della responsabilità di tipo contrattuale che è oggettivamente di maggior favore) anche per quanto riguarda l'errata segnalazione ad EURISC.
L'epilogo della vicenda è positivo: l'evidente errore del Tribunale di Agrigento è stato correttamente emendato da parte del giudice di legittimità, che ha ritenuto il ricorso per saltum di Tizio “manifestamente fondato” proprio in virtù della circostanza che “ai fini dell'eventuale affermazione di responsabilità della banca sarebbe stata sufficiente l'esistenza di un comportamento colposo, e non necessariamente doloso”.
(Altalex, 12 aprile 2012. Nota di Paolo Fortina)
estratto da http://www.altalex.com/index.php?idu=108063&cmd5=90ccb63eedaa8e8f0566596a94157526&idnot=17905


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI CIVILE
Ordinanza 22 novembre 2011, n. 24650
Cassazione civile Sez. VI, Ord., 22-11-2011, n. 24650
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PLENTEDA Donato - Presidente
Dott. CECCHERINI Aldo - Consigliere
Dott. PICCININNI Carlo - rel. Consigliere
Dott. ZANICHELLI Vittorio - Consigliere
Dott. RAGONESI Vittorio - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
V.G. e R.A., elettivamente domiciliati in Roma, viale Regina Margherita 232, presso l'avv. T.E., rappresentati e difesi dall'avv. G.R. giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
Banca P. in persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma, via Del Governo Vecchio 118, presso l'avv. F. G., rappresentata e difesa dall'avv. P. G. giusta delega in atti;
- controricorrente -
avverso la sentenza del Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata n. 323 del 16.11.2009.
Udita la relazione della causa svolta nell'udienza del 29.9.2011 dal Relatore Cons. Carlo Piccininni;
Udito l'avv. P. per la Banca;
Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FUCCI Costantino, che ha concluso aderendo alla relazione.
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Il relatore designato ai sensi dell'art. 377 c.p.c. osservava quanto segue: “V.G. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui ha resistito l'intimata, avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Agrigento, sezione distaccata di Licata, aveva rigettato la domanda risarcitoria contro la Banca Popolare Sant'Angelo, in relazione all'avvenuta segnalazione all'EURISC del mancato pagamento di tre rate di un contratto di mutuo, che viceversa erano state regolarmente versate.
In particolare il tribunale decideva nel senso indicato, avendo riscontrato una mancanza di prova in ordine ad un comportamento doloso della convenuta finalizzato ad arrecare un danno ingiusto all'attore, e la statuizione veniva censurata dal V., che rilevava come ai fini dell'eventuale affermazione di responsabilità della banca sarebbe stata sufficiente l'esistenza di un comportamento colposo, e non necessariamente doloso (primo motivo), lamentando inoltre l'errata statuizione sulle spese processuali (secondo motivo).
Ciò premesso, il relatore propone la trattazione del ricorso in Camera di Consiglio ritenendo manifestamente fondato il primo motivo (restando così assorbito il secondo) sia sotto il profilo della rappresentata sufficienza di un comportamento colposo della banca, sia sotto l'aspetto del denunciato vizio motivazionale, non avendo il giudice del merito indicato alcuno degli elementi di fatto posti a base della sua decisione”.
Tali rilievi, ai quali hanno aderito il Procuratore Generale ed il ricorrente, sono condivisi nel merito dal Collegio, che tuttavia precisa che tre risultano essere i motivi di impugnazione; che con il primo infatti era stata denunciata la nullità della sentenza perché non siglata nelle singole facciate, doglianza che appare infondata rilevando unicamente a tal fine la sottoscrizione del provvedimento; che per il secondo ed il terzo motivo, espressamente considerati dal relatore, valgono le condivise conclusioni ivi formulate alle quali si rinvia. Ne consegue che il ricorso va accolto con cassazione della sentenza impugnata e rinvio al Tribunale di Agrigento in persona di altro magistrato, che provvedere ad una nuova delibazione della domanda tenendo conto dell'esistenza degli eventuali elementi di colpa ravvisabili nel comportamento dei dipendenti della banca, oltre che alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Agrigento in persona di altro magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.



Le responsabilità delle banche per protesto illegittimo

Cassazione, il correntista-cliente necessita di una protezione ad hoc. Sulla banca incombe un dovere di protezione nei confronti del cliente


protestato
Con atto di citazione, Caio, Tizio e Sempronio convengono in giudizio, dinanzi al tribunale, la Banca s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del protesto di quattro assegni tratti sul conto corrente nr. x, ad essi cointestato presso una filiale della predetta banca. Gli assegni facevano infatti parte di un libretto smarrito e dunque illecitamente utilizzati da ignoti.
Gli attori, in sede giudiziale, deducono l’erroneità dei quattro protesti: più specificatamente, dichiarano che gli assegni sono stati smarriti e la firma di traenza risulta essere apocrifa. In tal senso, gli attori medesimi aggiungono che l’elevazione dei protesti andava condotta, da subito, nei confronti dei soggetti che avevano firmato i titoli risultando la loro firma leggibile.
L’istituto di credito, convenuto, si costituisce assumendo la correttezza dei protesti dei titoli smarriti ed evidenziando che i correntisti non hanno custodito i moduli con la dovuta diligenza, come prescritto nelle condizioni generali di conto corrente e chiedendo pertanto il rigetto della domanda.
Il tribunale incaricato rigetta, così, la domanda degli attori e compensa le spese processuali.
In sede d’appello, la Corte conferma la pronuncia di primo grado e rigetta anch’essa il ricorso.
Avverso quest’ultima sentenza, i medesimi ricorrenti propongono la loro domanda in Cassazione: la quale cassa! la medesima sentenza con rinvio alla Corte d’appello, che si atterrà nel decidere ai principi di diritto enunciati e che provvederà anche alla liquidazione delle spese.
Ebbene, il protesto è un atto pubblico mediante il quale viene accertato, in modo formale, da parte di un notaio o di un ufficiale giudiziario il mancato pagamento di un assegno (inadempimento inerente l’assegno). Il protesto risulta essere indispensabile perché consente a chi ha presentato l’assegno e non abbia ricevuto il pagamento di potere agire per via giudiziaria per ottenere la somma riportata nel titolo di credito (…).
Sotto il profilo tecnico-normativo, il Regio Decreto del 21 dicembre 1933, nr. 1736, ‘’Dispozioni sull’assegno bancario, sull’assegno circolare e su alcuni titoli speciali dell’Istituto di emissione (…)’’, ora Legge nr. 349 del 1973, all’art. 63 prevede che “il protesto deve contenere: 1) la data; 2) il nome del richiedente; 3) l’indicazione del luogo in cui è fatto e la menzione delle ricerche eseguite; 4) l’oggetto delle richieste, il nome della persona richiesta, le risposte avute o i motivi pei quali non se ne ebbe alcuna; 5) la sottoscrizione del notaio o dell’ufficiale giudiziario o del segretario comunale. Il protesto per atto separato deve contenere la trascrizione dell’assegno bancario. Per più assegni da pagarsi dalla stessa persona nello stesso luogo, il creditore può levare protesto con unico atto separato“.
Nella prassi, in caso di assegno protestato, gli istituti di credito corrono ai ripari: rilasciando una dichiarazione in cui si attesta l’avvenuta presentazione dell’assegno nel rispetto dei tempi utili, ma che il medesimo non è stato pagato. In tali circostanze, tale dichiarazione non è sufficiente, poichè gli istituti di credito sono chiamati ad effettuare ulteriori ed indispensabili verifiche. Si pensi all’importanza dell’esame esterno della firma di traenza: “se all’esito di quest’ultimo esame è evidente la non corrispondenza della conformità documentale di essa allo specimen della firma depositata presso la banca correntista, l’istituto di credito non può limitarsi a dichiarare che rifiuta il pagamento dell’assegno perché è stato denunciato come rubato, ma ha l’obbligo di precisare chiaramente al pubblico ufficiale incaricato del protesto che il titolare del conto corrente è un soggetto diverso da quello il cui nome figura nella sottoscrizione dell’assegno (Cass. 6006/2003)”.
Da parte dell’istituto di credito dovrà, inoltre, essere appurato che “tra il titolare del conto corrente ed il traente non vi è nessun rapporto negoziale o legale, opponibile alla banca, che legittimi quest’ultimo ad obbligarsi in nome e per conto di quegli (Cass. 18919/2004)”. Se, in relazione ad un eventuale protesto, la banca omette le previe e necessarie verifiche si instaurerà da parte della medesima una mera violazione del dovere di correttezza e buona fede: un esempio è cristallizzato nel caso di specie, ovvero “nell’indicazione erronea al notaio dei nominativi degli attori poi protestati”.
Quanto poi al pubblico ufficiale, nell’adempimento dei suoi obblighi di status, “a lui personalmente incombe dirigere la compilazione dell’atto-precetto, ex Legge nr. 89 del 1913, art. 47, con perizia e diligenza professionale, ex art. 1176.2 c.c., per non danneggiare un soggetto apparentemente estraneo all’emissione dell’assegno” (Cass. 16617/2010).
Più dettagliatamente, il notaio, nell’esercizio della sua professione, “è tenuto alla verifica della corrispondenza tra lo specimen e la firma di traenza”. Tale verifica rientra nei doveri di normale attenzione e diligenza, esulando dai casi di cui all’art. 2236 c.c., norma quest’ultima dettata unicamente in materia di soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. “Il notaio possiede, quindi, il potere/dovere’ di chiedere, nei casi dubbi, i chiarimenti opportuni alla banca trattaria che ha indicato i nominativi dei soggetti da protestare’’ (Trib. Di Napoli, Sez. dist. Marano, 06/04/07) . Pertanto, “sia l’azienda di credito, sia il notaio sono responsabili in solido tra loro (Cass. 11103/98) dei danni che possono essere derivati dall’erronea elevazione del protesto”.
Recentemente, la Corte di CassazioneSez. I, 31 maggio 2012, nr. 8787, ha affermato che “il comportamento dell’istituto di credito costituisce causa del fatto ingiusto della pubblicazione del nome del correntista sul bollettino dei protesti (Legge nr. 77 del 1955, art. 2), con l’ulteriore conseguenza di aver fatto conoscere a chiunque le esatte generalità del cliente con cui intrattiene il conto, non essendo sufficiente a tutelarlo dal discredito sociale ed economico la collocazione in apposita categoria, con conseguente responsabilità, anche contrattuale, di tutti i danni che ne derivano (…)”. Quanto poi al pubblico ufficiale, “sussiste la sua corresponsabilità per concorso nel causare il protesto illegittimo laddove questo abbia omesso di vigilare, anche per colpa lieve, sulla corrispondenza tra la firma di traenza e il nome del titolare del conto corrente (…)”. In tale circostanza fattuale, la Corte di Cassazione aggiunge che “i relativi capitoli di prova appaiono rilevanti in quanto volti a dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito per effetto dell’erronea elevazione dei protesti”.
In relazione alla richiesta dei danni non patrimoniali, il protesto, dove illegittimamente sollevato, deve ritenersi del tutto idoneo a provocare un danno, anche!, sotto il profilo della lesione del diritto all’onore e della reputazione del protestato come persona, al di là ed a prescindere dai suoi interessi commerciali. Ne consegue che, qualora l’illegittimo protesto venga riconosciuto lesivo del diritto della persona, come quello alla reputazione, il danno da ritenersi “in re ipsa”, andrà senz’altro risarcito senza che incomba sul danneggiato l’onere di fornire la prova della sua esistenza (…)” (Cass. 18316/07).
Insomma, dopo avere richiamato il quadro normativo-giurisprudenziale in materia, si potrebbe affermare cheil correntista-cliente necessita, sicuramente, di una protezione ad hoc. Sulla banca trattaria-mandataria, in primis, incombe un dovere di protezione nei confronti del cliente. In un rapporto fiduciario-privatistico, come quello tra istituto di credito e cliente, è necessario, quindi, “dare spazio e voce” al principio di buona fede contrattuale , ex art. 1375 c.c., tra le parti. D’altro canto, sul piano pubblicistico, il protesto svolge una funzione incidentale di tipo riparatorio-sanzionatoria. A questo punto ci si domanda: le due funzioni, privatistica da una parte e pubblicistica dall’altra, risultano essere nella prassi inconciliabili? Nei confronti del cliente-mandante si concretizza un vuoto di tutela e non un suo necessario rafforzamento, nonostante le due peculiari fasi (privatistica-pubblicistica)?
…Una risposta costruttiva a tali quesiti si potrebbe individuare sotto il profilo privatistico-generale: l’art. 1710 c.c. potrebbe, sicuramente, arrivare a configurare in capo alla banca-mandataria un dovere allargato-compatibile di collaborazione, che imponga alla medesima di effettuare a favore del cliente tutte le verifiche del caso.
estratto da: http://www.leggioggi.it/2012/06/26/le-responsabilita-delle-banche-per-protesto-illegittimo/


La sentenza: Corte di Cassazione, Sez. I, 31 maggio 2012, nr. 8787

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIORETTI Francesco Maria      - Presidente -
Dott. SALVAGO Salvatore       - Consigliere -
Dott. RORDORF Renato       - Consigliere -
Dott. RAGONESI Vittorio       - rel. Consigliere -
Dott. GIANCOLA Maria Cristina      - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
(Omissis...)
FATTO
Con atto di citazione notificato il 10 marzo 2000,  S.E., S.S. e Se.El. convenivano in giudizio dinanzi al
Tribunale di Viterbo la B.M.P.S. s.p.a. per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito del
protesto di quattro assegni tratti sul conto corrente n. (OMISSIS), ad essi cointestato presso la filiale di
Viterbo della predetta banca, facenti parte di un libretto di cui era stato denunciato lo smarrimento in data
28-2-1997, e dunque illecitamente utilizzati da ignoti. Gli attori deducevano la erroneità dei protesti, elevati 
nei loro confronti nel periodo tra il 10-3-1999 ed il 23-4-1999, nei quali si dichiarava che l’assegno era stato 
smarrito e la firma di traenza era apocrifa, sostenendo che i protesti avrebbero dovuto essere elevati nei 
confronti dei soggetti che avevano firmato i titoli risultando la loro firma leggibile; 
lamentavano, quindi, di avere subito gravissimi danni a seguito dei detti protesti, e, in particolare: che la C. 
S.p.a. aveva revocato il fido a S.E. che per rientrare aveva dovuto subito versare lire 100.000.000; 
l’interruzione della trattativa avviata per l’instaurazione di un rapporto con la Cr. SIM finalizzato  ad un 
affidamento di lire 200.000.000 presso il C.B.; il mancato finanziamento per l’acquisto di una autobetoniera 
da G.B.; la mancata partecipazione ad una associazione temporanea di impresa con la ottenere dilazioni di 
pagamento. 
Si costituiva la banca convenuta assumendo la correttezza del protesti dei titoli smarriti e ricordando che i 
correntisti non avevano custodito i moduli con la dovuta diligenza, come prescritto dall’art.3 delle
condizioni generali di conto corrente, e chiedendo pertanto il rigetto della domanda.

Acquisita la documentazione prodotta, disposta l’esibizione dei titoli protestati e respinte le altre  istanze
istruttorie, con sentenza del 13 ottobre 2003, il Tribunale di Viterbo rigettava la domanda degli attori e
compensava le spese processuali.
Avverso detta sentenza proponevano appello i S. con atto notificato alla B.M.P.S. il 30 gennaio 2004.
Si costituiva la banca appellata chiedendo il rigetto dell’appello.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza 730/10, rigettava l’appello.
Avverso la detta sentenza ricorrono per cassazione i S. sulla base di tre motivi illustrati con memoria.
Il B.M.P.S. non ha svolto attività difensiva.
DIRITTO
Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti, deducendo una erronea interpretazione della giurisprudenza di
questa Corte da parte del giudice di seconde cure, assumono che la responsabilità della banca trattaria non
poteva essere esclusa per addebitare la stessa esclusivamente al pubblico ufficiale che aveva elevato  il
protesto.
Con il secondo motivo lamentano la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del notaio che
aveva elevato il protesto in quanto litisconsorte necessario.
Con il terzo motivo lamentano la mancata ammissione della prova testimoniale.
Il primo motivo è fondato.
La Corte d’appello ha invero correttamente riconosciuto in conformità ai principi affermati da questa Corte
(Cass. 16617/10) che il protesto dei titoli doveva essere elevato nei confronti dei firmatari degli stessi che
avevano illecitamente acquisito il carnet d’assegni, posto che le firme degli stessi risultavano leggibili, e non
già nei confronti dei ricorrenti, titolari del conto.
Ha peraltro escluso la responsabilità della banca ritenendo che l’unico responsabile dovesse ritenersi il
notaio che aveva elevato il protesto.
Tale assunto è erroneo. Nel caso di specie in cui le firme apposte sugli assegni non risultano apocrife, ma
indicano nomi diversi da quelli dei titolari del conto, questa Corte ha già avuto modo di affermare che "se
all’esito dell’esame esterno della firma di traenza è evidente la non corrispondenza della conformità
documentale di essa allo specimen della firma depositato presso la banca dal correntista, l’istituto di
credito non può limitarsi a dichiarare che rifiuta  il pagamento dell’assegno (L. n. 349 del 1973, art. 63,
comma 1, n. 4 e art. 1) perchè è stato denunciato come rubato, ma ha l’obbligo di precisare chiaramente al
pubblico ufficiale incaricato del protesto che il titolare del conto corrente è un soggetto diverso da quello il
cui nome figura nella sottoscrizione dell’assegno (ovvero che a nome di quest’ultimo nessun conto di traenza esiste presso di essa: Cass. 6006/2003), e che tra il titolare del conto ed il traente non vi è nessun 
rapporto negoziale o legale, opponibile alla banca, che legittimi quest’ ultimo ad obbligarsi in nome e per
conto di quegli ( R.D. 21 dicembre 1933, n. 1736, artt. 6 e 15: Cass. 18910/2004). Diversamente il
comportamento dell’istituto costituisce causa del fatto ingiusto della pubblicazione del nome del
correntista sul bollettino dei protesti (L. n. 77 del 1955, art. 2), con l’ulteriore conseguenza di aver fatto
conoscere a chiunque le esatte generalità del cliente con cui intrattiene il conto, non essendo sufficiente a
tutelarlo dal discredito sociale ed economico la collocazione in apposita categoria, con conseguente
responsabilità, anche contrattuale, di tutti i danni che ne derivano (Cass. 2936/1974, 18316/2 007). Quanto
poi al pubblico ufficiale, sussiste la sua corresponsabilità per concorso nel causare il protesto illegittimo se
ha omesso di vigilare, anche per colpa lieve (Cass. 2821/1971), sulla corrispondenza tra la firma di traenza e
il nome del titolare del conto corrente, poichè nell’adempimento dei suoi obblighi di status a lui
personalmente incombe dirigere la compilazione dell’atto - L. n. 89 del 1913, art. 47 - con perizia e diligenza
professionale per non danneggiare un soggetto apparentemente estraneo all’emissione dell’assegno"
(Cass. 16617/10).
Pertanto sia l’azienda di credito, sia il notaio, sono responsabili, in solido tra loro (Cass. 11103/1998); dei
danni che possono essere derivati dall’erronea elevazione del protesto.
Il motivo va quindi accolto.
Il secondo motivo è invece infondato.
Invero nel caso di specie di verte in tema di responsabilità solidale per concorso nel fatto illecito  e la
giurisprudenza di questa Corte ha costantemente affermato che in tema di obbligazione solidale passiva,
poichè fra i debitori non sorge un rapporto unico ed inscindibile, non ricorre l’ipotesi del litisconsorzio
necessario per cui non è necessaria l’integrazione del contraddittorio nei confronti di quelli non chiamati in
giudizio (ex plurimis Cass.; 14700/10; Cass. 24425/06; Cass. 379/05; Cass. 2590/62).
Nel caso di specie nessuna integrazione del contraddittorio nei confronti del notaio doveva essere disposta.
Quanto al terzo motivo,va premesso che la sentenza impugnata contiene una duplice ratio decidendi. Dopo
avere,infatti, escluso la responsabilità della banca trattarla (questione esaminata con il primo motivo di
ricorso) ha poi affermato che in ogni caso,i ricorrenti non avevano fornito la prova di aver subito danno
dagli erronei protesti.
In relazione a tale affermazione i ricorrenti si dolgono della mancata ammissione delle prove richieste.
La doglianza risulta fondata.
Invero i capitoli di prova (il cui testo è integralmente riportato nel ricorso) appaiono rilevanti in quanto volti
a dimostrare l’esistenza del pregiudizio subito per effetto dell’erronea elevazione dei protesti. Gli stessi
(collegati con missive già prodotte in atti di cui si chiede sostanzialmente la conferma) vertono infatti su mancate concessioni di linee di credito da parte di banche, mancati finanziamenti,mancato accordo sulla 
costituzione di un ATI, rifiuto da parte di operatori commerciali di effettuare vendite di materiali etc..
In tal senso la motivazione fornita dalla Corte d’appello per definire le prove testimoniali scarsamente
concludenti ai fini del decidere non appare adeguata.
Si sostiene, in particolare, da parte della sentenza che non risultava rilevante che nei capitoli venisse
specificato che gli odierni ricorrenti avevano rappresentato ai potenziali contraenti che si trattava di assegni
rubati riempiti e sottoscritti da terzi poichè non risultava che alle missive dei terzi, in relazione alle quali si
chiedeva la prova per testi, gli odierni ricorrenti avessero risposto per iscritto e poichè non risultava che
essi avessero sollecitato la banca affinchè si attivasse presso i terzi in questione per chiarire le ragioni dei
protesti.
Tali circostanze invero si riferiscono ad attività  dei ricorrenti che sarebbero state volte ad eliminare o
ridurre gli effetti negativi dei protesti ma non rilevano in alcun modo ai fini della dimostrazione o  della
esclusione della esistenza di danni derivanti dai protesti che si sarebbero comunque già in precedenza
prodotti.
Va inoltre soggiunto che, in relazione alla richiesta di danni non patrimoniali, questa Corte ha già avuto
modo di affermare in altre occasioni, che il protesto ove illegittimamente sollevato, deve ritenersi del tutto
idoneo a provocare un danno anche sotto il profilo della lesione dell’onore e della reputazione al protestato
come persona, al di là ed a prescindere dai suoi interessi commerciali. Ne consegue che, qualora
l’illegittimo protesto venga riconosciuto lesivo di diritti della persona, come quello alla reputazione, il
danno, da ritenersi "in re ipsa", andrà senz’altro risarcito senza che incomba, sul danneggiato, l’onere di
fornire la prova della sua esistenza. (Cass. 18316/07).
Ovviamente nella diversa ipotesi ricorrente anche nel caso di specie in cui sia dedotta specificamente una
lesione della reputazione commerciale per effetto dell’illegittimità del protesto, quest’ultima costituirà
semplice indizio dell’esistenza di un danno alla reputazione, da valutare nel contesto di tutti gli altri
elementi della situazione cui inerisce (Cass. 5 novembre 1998, n. 11103; Cass. 18316/07).
Il ricorso va, pertanto, accolto nei termini di cui in motivazione.
La sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio alla Corte d’appello di Roma, in diversa
composizione che si atterrà nel decidere ai principi di diritto dianzi enunciati e che provvederà anche alla
liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il terzo motivo, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi
accolti e rinvia anche per le spese alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 24 aprile 2012.
Depositato in Cancelleria il 31 maggio 2012

reperita all'indirizzo http://www.dirittobancario.it/sites/default/files/allegati/cassazione_civile_sez._i_31_maggio_2012_n._8787.pdf


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